Il mercato ci da sempre dei segnali, degli input che costituiscono informazioni informali ed embrionali, apparentemente banali, da cui è possibile costruire un quadro informativo preciso ed un vantaggio competitivo .
Sono segnali deboli i brevi scambi informali, le discussioni con i clienti e i fornitori, con i partner insomma con tutti coloro che dentro e fuori dall’azienda vivono il nostro ambiente sebbene non sempre direttamente la nostra realtà aziendale.
C’è un’altra fonte che da luogo a primi input ed è la lettura di tutte quelle informazioni disponibili sul nostro settore (blog, articoli, stampa specializzata di settore, etc.) che ci da una panoramica macro o aggregata di quello che succede nel mercato ma spesso anche micro in merito a player di mercato o a clienti.
Le riviste di super nicchia di settore, che spesso diventano strumenti di marketing per molte aziende, costituiscono ad esempio input da cui trarre informazioni competitive che possono diventare altrettanti elementi a supporto del nostro disegno strategico. Quelle che i consulenti leggono nella sala riunioni prima dell’arrivo del proprio interlocutore in altre parole. Si parla infatti di investimenti, fattori differenzianti tecnologici e di prodotti, percorsi di internazionalizzazione, prospettive complessive di sviluppo da parte di singole realtà che danno poi luogo a considerazioni di mercato aggregate.
Sul piano competitivo i segnali deboli si traggono inoltre attraverso la comunicazione che i concorrenti fanno in merito alla loro attività tramite i social media, le pagine aziendali, etc.
Da dove provengono i tuoi segnali deboli? Li capitalizzi ?
Come trattare i segnali deboli?
In prima battuta, i segnali deboli possono rimanere tali o essere capitalizzati e diventare un asset di valore sebbene intangibile.
Il segnale debole deve essere preso in prima battuta come una voce di corridoio e in quanto tale non necessariamente fondato o veritiero. Ci troviamo spesso davanti a situazioni in cui il segnale debole viene invece interpretato come una verità e idolatrato ad input di valore su cui costruire un approccio strategico. Piuttosto che costruire su fondamenta fragili allora è meglio non costruire affatto dato che questo approccio può costituire un errore e condurre a scelte sbagliate.
Proprio in quanto deboli, i segnali vanno valutati al fine di diventare o meno leve su cui costruire un’azione dal profilo strategico. Ad esempio andando a validare i segnali con altre fonti, contatti, etc. Questo aspetto è determinante, sottolineo ancora, perché invece di trarre vantaggio competitivo potremmo essere indotti a fare degli errori sul piano dell’approccio al mercato.
Se confermato, il segnale ci da un piccolo valore che però può diventare grande costruendoci sopra un approfondimento che vada oltre le informazioni disponibili che abbiamo ottenuto.
Quella che per gli analisti è la cosiddetta ricerca secondaria su fonti disponibili non dice infatti tutto ovviamente ed è disponibile e costituisce un input. E’ possibile però partire da questi primi input per trarre elementi di potenziale approfondimento che aiutino a rafforzare ancora di più la nostra conoscenza dei comportamenti dei clienti, dei concorrenti, etc.
Solo il questo modo creiamo un insight di mercato, mettendoci di fronte al mercato e scoprendo qualcosa di noi alla luce del mercato, ed un vero e proprio vantaggio che gli altri non hanno. Un vantaggio che diventa strategico e non solo informativo nel senso che, come azienda, saremo in grado di creare noi qualcosa per il mercato a fronte di una conoscenza approfondita delle dinamiche di mercato stesse.
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